Beaumont sur Mer 28 nov 2016
Dopo una domenica di fine novembre passata quasi in pace con Perego al campo sportivo, ed una pizza mentre guardavo una partita di calcio insieme a Toby One, sono tornato a casa a Beaumont sur Mer e mi sono addormentato. Quel che segue è il sogno fatto durante le interminabili ore della lunga notte.
Feudatari e Monaci: col viso levato al cielo agognavano l’eternità, poi, con le mani coi piedi, con le ginocchia, tiravano tutto a se ! I Galantuomini: uccelli Grifagni dalle uncinate unghie. “Benvenuti in Amantea – A Mantia – L’oracolo, la profezia”. Diceva l’insegna all’entrata del paese proveniente da nord. Paese che ha dato i natali a usurpatori del suolo pubblico, cioè a sindaci e ai suoi consiglieri, ed entrambi si astengono, agendo contro il mandato amministrativo, di fare azioni in favore del bene comune e dei cittadini. Sul frontale del Municipio, un insegna luminosa che enunciava: “Dove non arriva la pelle di leone, bisogna cucirvi sopra quella della volpe”. Nel sogno trovavo quel dire alquanto inusuale, per un’istituzione. Andandomene in giro scoprivo che Amantea non si faceva mancare nulla, aveva tutto, insomma, per riuscire ad apparire un bel paese; ma, non dimeno, alcuni del popolo “erano barbari, cattivi e maligni”. Feroci, oserei dire, privi della giusta educazione sociale. I “galantuomini” del paese non davano buoni esempi di moralità. Qui il feudalesimo moderno si esprimeva in tutto il suo vigore. Il popolo, oppresso, rubato, disonorato e umiliato. In nessun altro posto il povero odiava tanto il ricco, e ad ogni tentativo di rivolta il primo grido a levarsi era : “Morte ai galantuomini”. Abbiate pazienza e ascoltate il resto del sogno. La ricchezza era tutta nelle mani di pochissime persone. Persone che gestivano il potere e non si scomponevano più di tanto se a volte si vedevano “costretti” ad agire come Tantalo, re dell’Asia Minore, che per onorare gli dei durante un festino, tagliò a pezzi il figlio Pelope, lo fece bollire in un calderone e ne servì le carni in tavola, per sfidare la chiaroveggenza divina. Tutti gli dei si resero conto di ciò che stava nel loro piatto e si astennero inorriditi dal mangiare, tranne Demetra, dea della fecondità, che, sconvolta per il rapimento di sua figlia Persefone, assaggiò un pezzetto di spalla. Gli dei dopo avere sprofondato Tantalo nell’Oltretomba e lanciato una maledizione alla sua stirpe, ricomposero il corpo di Pelope e gli restituirono la vita. Al posto della spalla mancante, gliene venne adattata una d’avorio. Poseidone attratto dalla bellezza del giovane se ne innamorò e volle condurlo con sé nell’Olimpo, dove gli servì da coppiere. Ben presto, fu rimandato sulla terra, ma Poseidone rimase suo protettore e gli regalò dei cavalli alati. Pelope ereditò il trono di Paflagonia da suo padre Tantalo, ma i barbari lo cacciarono ed egli si ritirò sul monte Sipilo in Lidia, sua patria ancestrale. Ilo, re di Troia, gli ordinò di andarsene e Pelope, non potendo fare altrimenti, decise di stabilirsi in una nuova sede: Amantea. Prima, però, volle chiedere la mano di Ippodamia, figlia del re Enomao d’Arcadia, il quale regnava su Pisa e sull’Elide, regione nella parte occidentale del Peloponneso. Enomao voleva evitare che Ippodamia si sposasse, perché un oracolo aveva predetto che il genero l’avrebbe ucciso; secondo un’altra versione egli stesso sarebbe stato innamorato della figlia.( ma questa è un’altra storia) Escogitò uno strano mezzo per impedire a Ippodamia di sposarsi: sfidava ogni pretendente a misurarsi con lui in una corsa di cocchi che si svolgeva su un lungo e difficile percorso, da Pisa fino all’altare di Poseidone sull’istmo di Corinto, e dopo averlo battuto lo uccideva. Pelope per amore della ragazza partecipò alla gara e con l’inganno, riuscì a vincere. Infatti riuscì a corrompere l’auriga del re, Mirtilo, offrendogli una notte nel letto di Ippodamia e metà del suo regno se avesse consentito a sostituire gli acciarini delle ruote del suo padrone con altri fatti di cera. Durante la gara le ruote si staccarono causando la morte di Enomao. Pelope sposò Ippodamia, dopo che questa aveva passato la notte con Mirtilo. Un giorno mentre Ippodamia si era allontanata per prendere dell’acqua, Mirtilo tentò di possederla ancora una volta. Quando la donna riferì i fatti allo sposo, Pelope sferrò a Mirtilo un calcio improvviso che lo fece precipitare a capofitto nel mare; e Mirtilo, mentre cadeva, lanciò una maledizione contro Pelope e la sua stirpe. Raccontare dei sogni, per raccontare il mondo della malvagità. Ai più Amantea appare come un mondo lontano, con un alone di mistero. Scrivo e racconto i miei sogni. Li racconto ai miei concittadini che hanno il fondato timore di non riuscire ad affrontare le loro problematiche, familiari, economiche e sociali che, in questo frangente storico, sono presenti in ogni vita ed in ogni stato sociale. La gente ha paura: lo vedo in giro, negli uffici, nei bar e nelle strade. Ha paura di non farcela, di non riuscir a superare le difficoltà. Vorrei tanto ricusare di esser nato in questo clima dolce, e gentile e nell’aria pestilente delle fogne … Andarmene a spasso per il mondo con una sacca per mendicare, e una vanga per scavar la terra…. Vorrei tanto ricusare d’esser nato in Amantea governata da una moderna e spietata Eris, dea della discordia e del suo famoso pomo, animatrice di conflitti e guerre fra gli uomini. Di quella stessa Eris di cui Omero offre un illuminante ritratto, descrivendola come “una piccola cosa, all’inizio….” che cresce fino ad “avanzare a grandi falcate sulla terra, con la testa che giunge a colpire i cieli”, seminando odio fra gli uomini e acuendone le sofferenze. Forse per questo il poeta le attribuisce anche l’epiteto di “signora del dolore”.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik