“Zefiro torna e ’l bel tempo rimena/e i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia,/e garrir Progne e pianger Filomena,/e primavera candida e vermiglia .”
Questa nostra epoca è l’epoca della trasformazione del mondo a pura risorsa da sfruttare senza limite alcuno. In questo senso la nostra depressione rivela la verità radicalmente, la vita stessa del mondo occidentale. La vita è sfinita, spossata, afflitta da una stanchezza reattiva al richiamo dell’iper-edonismo che, è meglio ricordarlo, produce anche la precarietà sociale ed economica che è il vero volto dell’Occidente sotto la maschera della sua giostra maniacale. Qualcuno nel recente passato aveva già messo in luce come il capitalismo avesse trasfigurato il principio freudiano di realtà nel principio di prestazione. Una nuova forma di alienazione si è rivelata non solo quella relativa allo sfruttamento della forza lavoro – secondo lo schema marxista –, ma quella di una nuova forma di oppressione della vita, costretta ad essere necessariamente produttiva, liberata dai vincoli conservatori della tradizione, ma asservita ad un nuovo padrone: la necessità dell’affermazione ad ogni costo della propria individualità. Certamente l’affaticamento che affligge l’umanità in questo momento mostra il limite di questo mito antropologico. Mostra il filo conduttore del sogno narcisistico di diventare padroni di noi stessi, di realizzare la nostra persona a prescindere da quello dell’Altro. Questa ultima grande crisi economica mostra tutti i segni della gravissima patologia che affligge la civiltà occidentale. Ci troviamo al bivio: dobbiamo provare a leggere lo sfiancamento attuale dell’uomo non solo come l’effetto di una disillusione fondamentale delle false promesse di felicità del capitalismo, ma anche come una domanda di un altro mondo possibile. L’uomo dell’Occidente è un uomo stanco della vita o di questa vita? Bisognerebbe provare a leggere in questa nostra stanchezza non solo una caduta depressiva della vita, ma anche l’esigenza di un’altra vita. A tale proposito mi torna in mente lo scrittore algerino Albert Camus, che rifiutava l’etichetta di filosofo esistenzialista e difendeva la libertà dell’uomo con l’espressione, unicamente finalizzata a narrare e ad analizzare con la massima sincerità la propria esperienza di uomo, che non si rassegnava né all’ipocrisia di chi fingeva e finge di ignorare i mali della vita, né alla disperazione di chi teorizzava la falsa soluzione dell’autodistruzione umana. Questa grande inquietudine dovrebbe servire da sprono all’uomo e spingerlo a non accettare passivamente il ruolo che i poteri costituiti cercano di assegnargli a tutti i costi. In questa fase del capitalismo, si è passati da una società produttiva a una società fondata sulla rendita, che ha perso contatto col lavoro e lo scolora nel controllo finanziario della vita. In questa nuova fase però non scompare lo sfruttamento: la società è la fabbrica, e lo sfruttamento colpisce le capacità cognitive dei corpi, delle anime, dei soggetti. L’umanità sta vivendo un incredibile paradosso. Da una parte le tecnologie offrono tutto a portata di mano. Il loro avvento sembrerebbe favorire una sorta di deriva verso l’immobilità totale: potendo fare tutto a distanza l’uomo rimane dove si trova e fa tutto dalla postazione domestica. Il telelavoro è uno dei casi di specie e risponde al principio per il quale l’ufficio raggiunge l’uomo a casa. In questo caso l’uomo della società digitale sarebbe una sorta di paralitico tecnologico, incollato alla sua sedia e destinato a fruire di tutte le esperienze in modo surrogato, grazie a schermi, caschi speciali, guanti con sensori e strumenti interattivi di vario genere che lo trasformerebbero di volta in volta in un turista virtuale, capace di trasferirsi senza muoversi, o in un discendente di una classe planetaria. Parallelamente, la diffusione dei telefoni cellulari sempre più sofisticati, dei palmari e in generale di tutte le tecnologie wireless che esaltano esattamente il contrario: la possibilità di portare con sé elementi significativi del proprio ufficio o del proprio ambiente domestico. In questo caso, in misura maggiore rispetto al precedente possiamo disporre di una considerevole quantità di strumenti che ci seguono ovunque, che ci connettono con qualunque altro punto, con possibilità di programmare anche il tempo delle interrelazioni, in linea con il principio secondo il quale è l’individuo che decide come, quando e dove dar luogo ad una determinata funzione. È pressoché impossibile disegnare uno scenario futuro univoco. Tante, troppe, sono le variabili culturali e sociali capaci di incidere su uno sviluppo di cui la tecnologia rappresenta solo la dorsale più appariscente.
“Una rondine non fa primavera, né un sol giorno: così un sol giorno o poco tempo non fanno nessuno beato o felice. Bisogna, dunque, sforzarsi di tener dietro a ciascun tipo di principio in conformità con la sua natura, e impegnarsi a definirlo adeguatamente. I principi, infatti, hanno un gran peso sugli sviluppi successivi: si ammette comunemente che il principio costituisce più che la metà del tutto, cioè che per suo mezzo diventano chiare molte delle cose che si vanno cercando di realizzare.”
Gigino A Pellegrini & G el Tarik