Roma 7 Mar 2017
Partiamo dai guai che riguardano la costa calabrese che affaccia sul mare Tirreno, notoriamente più antropizzata di quella ionica e meta prediletta di centinaia di migliaia di turisti che ogni estate si riversano sulle spiagge e affollano i piccoli e medi centri abitati. In generale, se sulla carta l’efficienza depurativa a livello regionale si attesta intorno al 74,5%, nella realtà la situazione è molto più critica. Depuratori vecchi e malandati, senza manutenzione o addirittura in stato di completo abbandono. Allacci abusivi, scarichi che vanno direttamente nei corsi d’acqua dolce e da lì fino al mare. Un mare violato e avvelenato. Dagli scarichi illegali, dalle acque reflue dei paesi dove la costruzione dei depuratori, quando è avvenuta, è stata quasi sempre l’occasione per arricchire piccoli e grandi truffatori, amministratori corrotti e criminalità organizzata; dalle acque nere degli auto spurgo; dagli allacci illeciti e incontrollati delle aziende (oleifici e altri impianti per la trasformazione agroalimentare, ma anche piccole industrie chimiche). Da quelli dei villaggi che si sono sviluppati lungo la costa e da interi abitati che spesso non hanno un solo metro di rete fognaria e nella stagione estiva riversano in acqua i loro scarichi come in un enorme pozzo nero. E’ l’altra faccia del mare di Calabria, amato e affollato dai turisti che, loro malgrado, vestono al contempo i panni di vittime e carnefici nel degradante spettacolo della mala depurazione. Ogni volta che arriva l’estate, si ripropone lo stesso copione dell’anno precedente, con i problemi legati al trattamento delle acque che, dimenticati per alcuni mesi, tornano fatalmente a galla. Mare marrone, miasmi insopportabili, fiumi trasformati in fogne a cielo aperto: il sistema collassa, abitanti e villeggianti protestano, scattano i controlli e i “sequestri”. E’ inutile illudersi? Alle attuali condizioni, non rimane alcuna speranza di vedere finalmente in salute Amantea. Rimarrà eternamente allettata? Allora tanto vale farlo crepare il mio paese, per risolvere le sue pene e affinché dal suo ricordo possano almeno rigenerarsi le sue energie più sane, svincolate dalle catene della mediocrità, del malaffare e del pregiudizio. Amantea, dunque, dovrebbe morire? Mandanti, esecutori e complici di un delitto (quasi) perfetto. Quasi, perché qualcuno ancora ha voglia di interrogarsi sul morto che sta sempre uguale in salute, almeno secondo la stampa, che ormai ignora completamente la questione meridionale, come fosse una cancrena che non spurga. Ravviso alcuni tratti comuni tra la Calabria e in particolare Amantea e la Grecia. Tratti che, più che le dinamiche economiche recenti, riguarderebbero aspetti socioeconomici e culturali. Tra i primi, il clientelismo, la corruzione e l’incapacità di modernizzare il funzionamento dei mercati, della burocrazia e della giustizia. Tra i tratti culturali, un atteggiamento vittimista, la tendenza a imputare ad altri colpe e responsabilità. Se al Sud “le cose vanno male, la colpa è sempre di qualcun altro, preferibilmente qualcuno che sta altrove e non ci ama”. Una sindrome da “attribuzione esterna” che riguarderebbe le classi dirigenti meridionali, ma anche “innumerevoli studiosi, artisti, cantanti, giornalisti e scrittori” che amplificherebbero le doglianze dei cittadini meridionali, a loro volta colpevoli di “eccessiva tolleranza, assuefazione, e talora perfino connivenza” nei confronti delle classi dirigenti. Poi ci sono i mandanti, come i politici, per i quali il Sud “è una vacca da mungere elettoralmente, per i malfattori un osso da spolpare economicamente, per altri una carogna da seppellire definitivamente, politici, frivoli e superficiali, che ostentano un posticcio sentimentalismo di maniera per vendersi meglio ai più forti”. Il Mezzogiorno è un primario mercato di sbocco dell’industria settentrionale; esistono consolidati rapporti tra imprese delle due aree; il risparmio meridionale è, da decenni, largamente impiegato per finanziare investimenti meno rischiosi e più redditizi nel Centro-Nord; l’emigrazione di giovani meridionali con elevata qualificazione accresce il capitale umano delle regioni settentrionali d’Europa. Il clientelismo, la corruzione, il ritardo di modernizzazione, il basso livello d’istruzione, la tendenza a privilegiare la spesa pubblica corrente a discapito degli investimenti. Qui da noi lo Stato unitario ha avuto una presenza evanescente, estranea, lontana, vissuto più come sopraffattore che come garante del patto sociale. Più come autore di violenza che tutore di legalità. Il popolo non ha partecipato ma ha soltanto assistito alla nascita dello Stato. Quando esso si costituì il 75 per cento della popolazione era formata da contadini. Fuori dalle istituzioni, fuori dal mercato. Consumavano le poche merci che producevano, non avevano ospedali, non mandavano i figli a scuola, le sole presenze istituzionali erano i carabinieri e gli agenti delle imposte. E i preti. La corruzione meridionale è un fenomeno che deriva direttamente dall’estraneità dello Stato rispetto al popolo, dall’esistenza d’una classe dirigente barricata a difesa dei suoi privilegi, dall’appropriazione delle risorse pubbliche da parte dei potenti di turno, dal proliferare delle corporazioni con proprie deontologie, propri statuti, propri privilegi; dalla criminalità organizzata e governata da leggi e codici propri. Infine, in assenza di una legalità riconosciuta, dalla necessità di supplire a quell’assenza con la corruzione spicciola, necessaria per mitigare l’arbitrio con la compravendita di indulgenze civili come da sempre ha fatto la Chiesa con le indulgenze religiose. Così è, se vi pare?
Gigino A Pellegrini & G el Tarik