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  • To whom it may concern – A chi può interessare

    towhom

    Scrivo solo quando ho un’ispirazione improvvisa, un’ immagine, come dico spesso. L’immagine può arrivarmi in qualunque luogo e in qualunque momento – in auto, in un bar, seduto alla scrivania a tarda notte mentre guardo dal terrazzo il mare di Ulisse e la strada punteggiata dalla luce dei lampioni. Scrivo per ingannare l’ineluttabile scorrere del tempo, che cancella e distrugge anche i sentimenti e i legami più belli e sinceri di una realtà vera e una virtuale fra due persone.
    Per sfuggire alla banale quanto logorante quotidianità, in cui a poco a poco si insinua la noia, i due hanno creato una sorta di grande e mutevole gioco di ruolo. Sulla base di questo gioco hanno dato a se stessi, via via, un’identità multiforme, mutevole a seconda delle esigenze momentanee, diventando cioè maschere, che però hanno continuato a recitare la loro parte anche quando l’altro venne rimosso con una semplice frase: “non ti contatterò più”. Anche questo “clik virtuale”, però, non potrà ingannare l’insopportabile routine di una vita insoddisfacente. La superficialità rende tutto più semplice ma anche tutto meno intenso, come un cambio stagione nell’armadio. L’autunno è l’attesa e l’accessorio per far passare l’inverno sarà l’estate nel cuore. C’è sempre bel tempo nel cuore di alcune persone. Nel fare un uso indiscriminato di questo tipo di strumenti di interazione, appare immediato un problema di alienazione; nel senso che l’uso generalizzato della chat, per esempio, va a minare le relazioni classiche basate sulla primaria interazione dei sensi: si viene portati a ripiegare nelle relazioni virtuali perché incapaci di rapporti autentici. Diventiamo dei veri e propri “rifugiati digitali”
    Sono convinto che a volte l’uso della comunicazione digitale, è spesso di una superficialità disarmante, e che rappresenta il sintomo della crisi vera che è crisi di identità e conseguentemente di rapporti con gli altri.
    Dall’imponenza dei mezzi che mi sono imposto per allontanarla da me, misuro l’amore che ho per Lei. Giudicate sino a che punto la ami da queste fortificazioni che innalzo nella mia vita e nella mia “attività” scrittoria. A ciò che scrivo, non dovendo essere altro che la prova della mia sincerità , importa che tale sincerità sia reale non soltanto per fecondare il mio stesso impegno, ma anche perché, su un compito già forte della sincerità, m’appoggi per uno sforzo maggiore verso una destinazione ignota affinché il suo respiro (sono estremamente corruttibile) non possa deformarmi. Il mio amore è di pasta tenera. E il “fiato” degli altri turba semplicemente la mia ricerca d’un nuovo giardino di bellezza e fantasia che pensavo d’aver trovato. Della cattiveria, imporrò un quadro nitido, se io dovessi, in tale ricerca, lasciarci la mia stessa esistenza, la dignità, la sincerità. Ad ogni accusa, anche se ingiusta, era mia volontà, rispondere con un si dal profondo del cuore. Appena pronunciata quella parola – o la frase di un simile significato – certamente sentirei dentro di me il bisogno di diventare ciò di cui venivo accusato di essere. Nel mio cuore non lascerò più nessun posto dove poter trovare asilo il sentimento della mia passione. So che il mio posto sarà in mezzo alla massa di uomini vuoti e privi di valori, non perché sia uno di loro, ma perché le loro voci stridendo, i loro gridi, i loro gesti smaccati e pacchiani non hanno altro scopo, mi sembra, che quello di sfondare la cortina di disprezzo del mondo.

    ” Quando ci si sente incapaci di amare….ci si sente esiliati da se stessi”

    Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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