Beaumont sur Mer giugno 2016
In una liberal democrazia, la scuola e l’educazione dovrebbero essere il primo strumento per formare cittadini capaci di vivere in quella stessa comunità; e la formazione politica e di amministratori pubblici dovrebbe essere un fattore decisivo anzitutto per produrre la capacità di stare e lavorare assieme sulla base di un comune sentire. Quante volte si è sentito dai pulpiti politici, in questi ultimi 70 anni, che solo la formazione può garantire l’elaborazione interiore del senso di sacrificio e di responsabilità che accompagnano ogni carica pubblica nonché del particolare mix di competenze e qualità umane che deve determinare l’accesso alla stessa ? Verificare quanto ci sia di vero in questo è di una facilità debordante. Basta semplicemente soffermarsi a pensare e osservare come oggi si pensa di poter fare tutto e, soprattutto, misurano la qualità del progetto territoriale con il livello di protagonismo individuale vivendo ogni occasione di candidatura a cariche pubbliche come una pura occupazione di caselle, senza creare un sano vincolo tra la propria capacità, il merito, il proprio talento e le responsabilità che derivano dalla carica medesima. Un esempio banale. Durante gli anni che ho passato in Rai, ho assistito a degli eventi sconvolgenti: Direttori Generali, dunque direttori editoriali, che venivano da esperienze che nulla avevano a che fare con la più grande industria culturale del paese. Membri della P2, palazzinari, elettricisti, nulla facenti che avrebbero imparato via, via. La crisi di questi anni è la testimone oculare dei disastri che il sistema di potere ha creato a danno dei semplici cittadini i quali subiscono senza battere ciglio. In maniera particolare al sud della Penisola. Pur dovendo il Paese confrontarsi con le sfide dei nuovi linguaggi della rete e della multimedialità, l’organizzazione politica sembra ignorare ciò che porterà alla povertà gran parte degli italiani che si vedranno “costretti” a sopravvivere privi di qualsiasi nozione del nuovo alfabetismo informatico. L’Italia, ed in particolare il Sud non può permettersi più politici mediocri, corrotti, ladri, arruffoni e rattoppati, incapaci di rappresentare un popolo, un’autonomia piena e una missione di cambiamento vero e reale con una classe dirigente incapace di declinare il senso di valori comuni e di condividere atteggiamenti etici. Eticità che il Sud aveva ereditato e continuato a coltivare per molti secoli. L’etica attuale, al contrario, assomiglia un po’ a quel medico che viene chiamato al capezzale dell’ammalato quando è già morto, arriva in qualche modo sempre in ritardo e si chiede ad essa di registrare una memoria per il futuro, per l’avvenire. Storicamente l’etica si è formata in Grecia nello stesso periodo in cui si è affermata la tragedia che riguardava la casa, era la revisione di tutta una cultura …se succedeva qualcosa di terribile per la strada soltanto per la casa era una tragedia. Soltanto in casa ci si chiedeva perché era capitato proprio a loro…Loro ragionavano in questi termini: noi ci dobbiamo liberare da ciò che è un destino fatale degli dèi…non diamogli più la colpa, cerchiamo di ragionare bene sui rapporti di famiglia…infatti il personaggio principale della tragedia era Antigone, quella ragazza che interrompeva la “genìa” di Edipo, Antigone non era un nome esistente, significava colei che interrompeva la genìa. La tragedia avveniva in famiglia, riguardava la casa, l’Etica invece contemplava la città, la polis, persone che vivevano insieme in una collettività. La tragedia riguardava il fratello, la sorella, l’etica riguardava l’amico, che era come un fratello, ma non era un fratello. Con l’etica la virtù diventava l’amicizia, la “filìa”, che era la virtù che rendeva tutte le altre tali. L’etica doveva poter riguardare ognuno.
Oggi, invece, questo è il Paese in cui, qualche anno fa, uno dei ministri della Repubblica invitava gli imprenditori, dando uno schiaffo a tutti i cittadini, a convivere con la mafia, ed era un ministro che aveva quote di maggioranza in imprese che erano impegnate in lavori pubblici. Questo fa capire perché l’Italia è considerata uno dei Paesi a più alto indice di corruzione. L’Italia non solo è a più alto indice di corruzione tra i Paesi europei, inferiore soltanto alla Romania, ma è anche a più alto indice di corruzione effettiva. Bisogna chiedersi, come discendenti della Magna Grecia, a che punto è arrivata la storia dell’etica, ovvero cosa significa un atteggiamento etico in una condizione come quella che si sta vivendo? Una condizione non più rivolta al futuro, alle generazioni che verranno, al futuro che non c’è. Che senso ha oggi aver ereditato una cultura millenaria se non si è in grado di prendere in mano il proprio destino? Un mio carissimo amico di Reggio Calabria, qualche tempo fa era venuto a trovarmi e un tardo pomeriggio sul terrazzo di casa mia, mentre ammiravamo il mare di Ulisse, cominciò a parlarmi della metamorfosi dei significati delle parole e cominciò da: “Colludere”, un termine latino che voleva dire “giocare insieme”, ma i meridionali sono “giocati”, è quell’ “insieme” dovrebbe essere molto allarmante, perché sia la collusione che la corruzione fanno riferimento ad un’associazione, cioè il “con”, e non ci si può sorprendere più di tanto del fatto che in questo Paese si continua a discutere di collusione tra mafia e politica, perché la questione è proprio sull’ambito sociale; sulla convivenza democraticamente sociale. Nino Pellicanò, questo era il suo nome, continuò dicendomi come la democrazia di oggi era diventata a “consenso informato”. Chi governa da le informazioni, ma su decisioni già prese o su fatti già acquisiti. Un sistema nel quale i cittadini vengono semplicemente informati. Una convivenza democratica a consenso informato senza partecipazione. Le cose si sanno, ma non ci si può far niente, cioè, mai come in questo momento la crisi della ragione, del sapere, su cui si è costruito il mondo occidentale, è entrata in una nuova e pericolosissima fase, perché sapere non è più potere; il potere si è separato dal sapere, sono due cose completamente distinte. Il potere si muove su un’altra sfera, cioè su una sfera che non riguarda il sapere, mentre eravamo cresciuti pensando che il sapere era formativo, era quello pubblico, era quello culturale. Non è più così e probabilmente non sarà più così.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik