Qualche anno addietro, un capraio sopra le colline che cingono Amantea, dopo aver condotto al pascolo il proprio gregge, tornando all’ovile si accorse che ne mancavano due. Due caprette. Il giorno successivo essendo venuto un grande temporale, e non potendo uscire per cercarle mise del cibo nei pressi del luogo dove le aveva portate a pascolare il giorno prima, nella speranza di ritrovarle. Il suo tentativo non produsse il risultato sperato. In realtà le due caprette non si erano perse. Circa un anno più tardi, di tanto in tanto, di notte, un misterioso animale si inoltrava nei caseggiati per compiere delle scorribande. Scompariva qualche pollo, qualche pecorella e qualche coniglio. Al mattino allora si sentivano le imprecazioni della gente che trovava gli orti calpestati, doveva rifare le cataste della legna e ricaricare il concime rovesciato dai carri. Le massaie a loro volta dovevano rifare il bucato che avevano steso sulla corda ad asciugare, poiché la feroce bestia dopo aver reciso coi suoi denti di ferro la funicella, aveva calpestato i panni caduti sul terreno. Chi era riuscito a vederla alla luce della luna piena, raccontava che era grosso tre o quattro volte un montone normale, che i suoi occhi luccicavano come carboni accesi, che dal mento gli pendeva una lunga fitta barba lanosa e che le sue corna erano più lunghe e più grosse di quelle di un manzo. Era uno Zimmaro. Un montone mitologico, indemoniato, irascibile e molto vendicativo. Diversi cacciatori avevano provato a colpirlo ma senza successo, dimostrando che era un essere stregato. Gli stessi fecero tutti una brutta fine. I contadini quando si accingevano a riparare i danni che aveva arrecato, facendosi il segno della croce, esclamavano: “E’ stato lo Zimmaro barbuto dai denti di ferro e la barba di lana!” Tutto questo succedeva mentre Lo Jumu d’Aliva meno nobile del fiume Catocastro “sotto il castello”, di Amantea, scorreva non tanto “tranquillo” verso il mare di Ulisse. Ancor di peggio accadeva sugli alti pascoli in estate, i pastori balzavano tremanti di paura dai loro letti di paglia nelle capanne al sentire l’improvviso belare disperato del loro gregge che si perdeva in lontananza: era lo Zimmaro che aveva fatto fuggire le bestie disperdendole in cento direzioni. I pastori erano fortunati a ritrovarne qualcuna dopo 2 o 3 giorni. Alcune finivano nei burroni, facili prede di aquile e volpi. Lo Zimmaro talvolta, a conclusione delle sue imprese, prima di allontanarsi scoperchiava a cornate la piccola capanna del pastore, allontanandosi poi a balzi enormi mentre il suo orrido belato risuonava tra le pareti delle alte colline della pre-Sila. L’unico rimedio alle sue malefatte era preparare verso sera un secchio di farina di granturco misto a sale. Bisognava metterlo bene in alto perché le altre capre non potessero raggiungerlo, ma bene in vista perché lo Zimmaro lo scorgesse. In quel caso, accettava l’offerta, leccava il cibo e si allontanava senza compiere i soliti danni. Lo Zimmaro arrivò su questi lidi dall’Egitto portata da un veliero Fenicio. In Egitto si credeva che alcune donne di facili costumi copulassero con un quasi dio con le sembianze di Zimmaro. Anche nella mitologia greca il dio Pan era rappresentato metà uomo e metà caprone e il mitico mostro Chimera , uno dei figli del Titano Tifone e di Echidna, veniva descritto e raffigurato con tre teste: le due laterali di drago e di leone, quella centrale di caprone. Si dice che anche il dio pagano celtico Cenrunnos (da cui probabilmente è derivato Pan), solitamente raffigurato con le corna di cervo per rappresentare il potere della natura, in realtà era un “semi dio cornuto” più simile ad un caprone. Un giorno, sulla riva sinistra del Nilo, su di una altura una volpe era caduta accidentalmente in un pozzo, e benché non fosse molto profondo, non riusciva a venirne fuori. Dopo essere rimasta nel pozzo per un lungo periodo di tempo, il montone assetato si trovò a passare lì vicino. Vedendo la volpe, pensò che fosse entrata nel pozzo per abbeverarsi, così le chiese prima cosa stesse facendo lì dentro e poi se l’acqua era potabile. “ Sta per esserci una grande siccità, e così ne ho approfittato per fare un pieno d’acqua”, rispose l’astuta volpe. “La più bella e più buona acqua del mondo si trova solo qui ” , aggiungendo, “salta dentro ad assaggiarla. Ce n’è a sufficienza per tutti e due”. La sete convinse il montone a saltare senza riflettere nel pozzo e si mise a bere . La volpe gli saltò altrettanto rapidamente sul dorso e usando le corna come un trampolino, si ritrovò fuori dal pozzo. L’incosciente Zimmaro, vistosi in difficoltà, pregò la volpe di aiutarlo ad uscire. Al chè la volpe rispose: “”Se avessi avuto tanto senso quanti sono i peli della barba che ti ritrovi, vecchio mio, saresti stato più accorto a pensare, prima di saltare dentro al pozzo, a come ne saresti venuto fuori”. Così dicendo la volpe si allontanò. A salvare il proprio protetto dovette intervenire, come in altre occasioni, la dea egizia Sekhmet la “potente”. Figlia di Ra, che era membro della triade come sposa di Ptah . Era anche la terribile divinità della guerra che, impersonificando i raggi dal calore mortale del sole, incarnava il potere distruttivo dell’astro, ma anche l’aria rovente del deserto, i cui venti erano il suo alito di fuoco e con i quali puniva i nemici che si ribellavano al volere divino. Rappresentava anche lo strumento della vendetta di Ra contro l’ingiustizia degli uomini portando loro la morte e imponendo l’ordine del mondo. Lo Zimmaro aveva ottenuto alcuni dei poteri da Sekhmet e come l’occhio di Osiride dio della morte e dell’oltretomba, era diventato un giustiziere, un oculus mundi (occhio del mondo). Lo Zimmaro divenne persecutore e pieno di odio e rabbia, assumeva un atteggiamento punitivo e vendicativo nei confronti dei furbi e prepotenti. Si considerava realizzato quando riusciva a farsi giustizia da solo, a prescindere dalle richieste e dai bisogni effettivi degli altri, e nascondeva gioia e soddisfazione nel perseguitare gli altri. Molti secoli prima, nella terra d’origine dello Zimmaro, l’Egitto, il dio della terra Gebb, e Nut, la dea del cielo, avevano generato due figli, Osiride e Seth, e due figlie, Iside e Neftis. Iside sposò Osiride, e Neftis sposò Seth. Osiride governava con saggezza la terra ereditata dal padre. Non appena morì il re, strappò subito gli Egiziani dalla loro grama esistenza di animali selvatici, fece loro conoscere i frutti della terra, diede loro le prime leggi, e insegnò a rispettare gli dèi. Più tardi, percorse tutta la terra per civilizzarla. Ciò destò la gelosia di Seth, che volle uccidere il fratello. Fece costruire un cofano riccamente decorato, delle esatte misure di Osiride, e lo fece portare durante un banchetto, fra i convitati, promettendo di donarlo a quello di loro che vi si fosse potuto adagiare perfettamente. Quando fu la volta di Osiride di provare, i partigiani di Seth posero il coperchio sul cofano e lo sigillarono, rinchiudendovi il dio; poi lo gettarono nel fiume. Iside, che ignorava la sorte dello sposo, percorse tutto l’Egitto, piangendo, alla sua ricerca, finché ne trovò la salma.
Il dio Ra, udendo i lamenti di Iside, mandò sulla terra il dio Anubi, che avvolse in bende il corpo di Osiride, dopo averne ricomposto le membra fatte a pezzi da Seth, e gli diede sepoltura. Iside agitò le ali sopra lo sposo, ed egli prese a respirare; ma non potendo più vivere sulla terra, visse e fu re nel regno sotterraneo dei defunti.
Poco dopo nacque ad Iside un figlio, Hòrus che, volendo vendicare il padre, condusse una lunga lotta contro Seth. Le lotte fra Horus e Seth adombravano le lotte predinastiche fra i due grandi partiti che raggruppavano, l’uno, i ” nomi ” partigiani di Horus, nel Basso Egitto, l’altro, i ” nomi ” obbedienti a Seth, nell’Alto Egitto. Non molto lontano dall’Egitto, il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei mussulmani, diede il permesso agli angeli Azael e Shemhazai di partire e andare a vivere sulla terra. I due furono immediatamente attratti dalle donne umane e si accoppiarono con loro. Shemhazai, per punizione ebbe due figli mostruosi, mentre Azael inventò i cosmetici e gli ornamenti utilizzati dalle donne per sedurre gli uomini. Dio allora, in collera, minacciò di far innalzare il livello delle acque per far morire gli uomini e gli animali. E Shemhazai, nonostante i suoi figli fossero dei giganti per cui non sarebbero potuti affogare, fu preso dallo sconforto perché, comunque, pensò che i suoi figli sarebbero morti di fame. Da quel giorno i peccati di Israele venivano imputati ogni anno ad un “capro” Zimmaro espiatorio che veniva gettato da una rupe come offerta a Shemhazai e ad Azael (divenuto poi Azazel, potente demone delle gerarchie infernali). In realtà tale usanza affonda le proprie origini in tempi più remoti: il capro (poi divenuto Pan), era una divinità molto potente in Palestina, e a lui, gli ebrei erano soliti sacrificare un montone nel giorno dell’Espiazione del Kippur, quando il sommo sacerdote caricava tutti i peccati del popolo su un capro e poi lo mandava via nel deserto. Chiaramente, lo Zimmaro non gradiva molto questo suo essere castigato e così si trasferì in Magna Grecia dove divenne il castigatore; e gli espiatori furono gli uomini malvagi e aguzzini di altri uomini. Durante i tempi di pace e armonia fra gli uomini, lo Zimmaro andava in un lungo letargo. Questo suo rito, in Magna Grecia, non gli fu possibile praticarlo molto; e questo lo ha reso sempre più irascibile e spietato. Alcuni anziani contadini amanteani sostengono che una popolazione stanziale nel delta del Catocastro venerasse da sempre, come dèi, i caproni chiamati Zimmari , e che le donne più belle venivano scelte per essere possedute dal semidio Zimmaro figlio di Capra e di un dio, per evitare la collera di Osiride il temuto dio della morte. Questo suo rapporto con gli umani, chiaramente, non avrebbe mai potuto dare i “frutti” sperati. Le donne umane gli servivano solo come pratica. Il vero evento stava per rinnovarsi, ancora una volta, sulla rupe di Coreca, dove il vecchio Zimmaro ha condotto le due caprette che erroneamente si pensava fossero andate perdute. Considerando le innumerevoli malefatte e gli abusi perpetrati dai potenti della cittadina di Amantea e di quei cittadini collusi che hanno garantito la loro permanenza al potere negli ultimi anni, ci si deve aspettare grandi e inaudite punizioni da parte dello Zimmaro giovane che sta per nascere nelle grotte di quella rupe a Coreca che si affaccia sul mare di Ulisse.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik