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  • Galeazzo di Tarsia

    Galeazzo di Tarsia

    Il poeta Galeazzo di Tarsia figlio di Vincenzo, quinto barone di Belmonte Calabro, nacque a Napoli nel 1520. Era l’erede di una famiglia nobile d’antico lignaggio: le prime notizie storiche dei Tarsia risalgono al 1110, al normanno Boemondo che restaurò e ricostituì una cittadina fortificata (oppi dum) romana posta in posizione militarmente forte lungo la v alle del Crati a nord  di Cosenza e il cui nome antico pare fosse Carpetium o Caprasia. Egli l’avrebbe denominata Tarsia, una tarsia essendo il suo scudo a scacchi oro e bordeaux e di cui fu nominato conte. I conti di Tarsia parteciparono attivamente alle vicende politiche e militari del napoletano e, nel conflitto fra Angiomi ed Aragonesi, aiutarono questi ultimi nella conquista e nel consolidamento del dominio in Calabria a scapito dei primi ed ebbero, come ricompensa, intorno al 1443, l’investitura dei feudi di Belmonte, di Tinge e di Santa Barbara. Galeazzo, sesto barone di Belmonte, morì assassinato nel 1553 e i responsabili del delitto, le cause e le circostanze non poterono essere chiarite nonostante che un processo fosse stato intentato, a Napoli, ove l’omicidio avvenne, contro Giovan Battista e Giovanni Antonio De Alagno. Galeazzo di Tarsia è considerato dalla critica letteraria un ottimo  petrarchista. Il Tasso e il Marino, il Foscolo e il Leopardi usarono molte delle sue espressioni poetiche, dall’ “Ermo colle” al se “a te fur care le mie chiome e il viso” che si trovano nei “Sepolcri” del Foscolo. Il Canzoniere di Galeazzo di Tarsia comprende 46 sonetti, una sestina, un madrigale e due canzoni. Gran parte delle sue rime sono ispirate alle tre donne che egli amò: Vittoria Colonna, la giovinetta schiva e la moglie Camilla. Altri sonetti sono dedicati  all’amore per le terre belmontesi e a un intenso senso patriottico.

     

    “Palma leggiadra e viva,

    Che tocchi ‘l ciel con l’aure cime sante,

    se cotanto sei schiva

    Della vista di indegno e basso amante

    E celartene brami,

    Da me non torcer lo splendor de rami”

     

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