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  • FRA L’INCUDINE E…………

    fraincemart

    Nelle Liberal democrazie il Diritto dovrebbe garantire la libertà alla persona umana, o a un gruppo privato,con una norma giuridica: dovrebbe voler dire potere di volontà e di azione che la norma concede al soggetto, o al gruppo, nei confronti di uno, o di più, o di tutti gli altri soggetti dell’ordinamento. Quando si parla di abuso, di possibilità di abuso del diritto, si suol dire che l’esercizio di questa libertà garantita dalla norma, del potere accordato dalla legge, può dar luogo a responsabilità: onde un atto lecito – l’esercizio del diritto – diviene fonte di responsabilità. Dal 2004, le denunce registrate ogni anno per corruzione e reati contro la Pubblica amministrazione sono rimaste stabilmente sopra il numero di 3.000, mentre le regioni dove si concentrano maggiormente gli episodi sono quelle del Sud e la Lombardia. Il tipo di reati denunciati indica probabilmente che la criminalità organizzata cerca sempre più di accaparrasi i fondi pubblici e addirittura assumere la gestione di una collettività. Le cinque regioni per numero di denunce di reati legati a corruzione sono Sicilia, Campania, Puglia, Calabria e Lombardia. Ma se si stila la graduatoria delle denunce ogni 1.000 dipendenti pubblici, allora in lista ci sono Calabria, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Molise e Basilicata. La conclusione a cui si arriva è che della corruzione misuriamo solo una parte: la corruzione scoperta e, cioè, la punta dell’iceberg che emerge. Non misuriamo invece la parte più consistente, quella che c’è e che non si vede e non si scopre: l’iceberg sommerso. Comunque la percezione della corruzione nella pubblica amministrazione, è più alta tra l’opinione pubblica che all’interno delle stesse amministrazioni. E se non c’è percezione, non c’è valutazione del rischio e non ci possono essere azioni correttive, ma solo azioni repressive ‘a valle’ che non intaccano il fenomeno a monte. Una delle figure tipiche dell’eccesso di potere è il “deragliamento” del potere che si verifica quando l’autorità amministrativa usa, quello stesso potere attribuitole dalla legge, per raggiungere uno scopo diverso, deviando, per così dire, dai binari prestabiliti dalla legge. È noto che l’atto amministrativo ha una sua specifica causa prevista dal legislatore che non può essere derogata dalla pubblica amministrazione nel suo agire, pur nei suoi margini di discrezionalità. In una liberal democrazia tra i due mali, cioè tra chi scrive e un amministratore pubblico al quale viene di poter intimidire la stampa, si sceglie sempre il minore. Cioè si consente al giornalista anche di sbagliare senza conseguenze giudiziarie perché anche se egli perseverasse sarebbe lui a perderci in credibilità e quindi a far mancare anche l’autorevolezza del suo media. Invece in Italia, particolarmente nel Mezzogiorno, avviene il contrario. Il potente di turno, con la minaccia, può spegnere anche il miglior giornalismo che si rifiuta di genuflettersi .Recentemente è avvenuto esattamente questo. Un Quotidiano è stato costretto alla chiusura.Purtroppo il problema non è circoscritto alla Calabria. Questa “cultura” tutta italiana in materia di libertà di scrivere ed espressione è generalizzata ed è una questione ormai formativa . Migliaia e migliaia di giovani del Sud intravedono nel loro futuro soltanto violenza, sopraffazione e disoccupazione; costretti al clientelismo, al richiesta del favore, alla negazione dei più elementari diritti. Per migliaia di ragazze e di ragazzi del Mezzogiorno, nel corso di decenni la politica, lo Stato, le amministrazioni locali e la legalità non hanno sinora rappresentato né dignità né futuro. Come dovrebbe reagire la collettività a questa eclissi della legalità e a questa deriva di eticità nella politica? Mi sembra che la risposta non possa essere né positiva né consolante. In nome del realismo politico e della fedeltà alle alleanze, una parte non irrilevante della comunità politica ha con troppa facilità accettato vistose lacerazioni del fondamentale principio di legalità e coperto e avallato pesanti strappi all’ordinario svolgimento democratico della vita sociale. Il tema dell’eclissi della legalità nel Meridione non è un retaggio storico degli anni che furono: resta un nodo centrale della vita sociale, perché mai come in questi ultimi anni il rispetto delle regole per sviluppare ordinatamente la vita sociale, per ridurre le prevaricazioni dei potenti, per assicurare una certa eguaglianza effettiva tra i cittadini, per garantire anche al debole i suoi diritti fondamentali, è divenuto un mero «optional» nella vita comunitaria? Sembrava che la fiammata suscitata da Tangentopoli dovesse portare ad una nuova eticità, pubblica e privata. È stata invece una fiammata effimera e velleitaria un vero e proprio fuocherello di paglia: la società civile, che è insorta contro i politici corrotti, ha preferito più battere il pugno sul petto degli altri che analizzare le proprie non inferiori responsabilità; ha mostrato più una libidine di esecuzioni in piazza per cambiare un ceto dirigente ormai detestato che autentico desiderio di un radicale ritorno a una più alta moralità politica e civile. In poche parole non ha avuto la coscienza di insorgere. Sarebbe stata la prima ed unica volta nela storia di questo Paese. L’eclisse della legalità è strettamente legato al crepuscolo del diritto dei cittadini di una qualsiasi nazione occidentale. E ciò sotto un duplice e contrapposto aspetto. Da una parte l’esperienza storica del Novecento insegna che anche la legge può essere idolatrica: abbiamo visto e sofferto leggi ingiuste, razziali, liberticide. Il diritto è certo essenziale per la vita comunitaria ma esso deve essere un diritto non ridotto a puro fatto – e cioè ossequio formale ad una norma imposta da chi ha potere – ma capace di tradurre nella norma giuridica l’idea di giustizia dando a ciascuno quanto gli spetta perché possa svilupparsi compiutamente come persona umana. Se l’uomo non è fatto per il diritto ma il diritto è fatto per sostenere l’uomo sociale, la crisi di legalità si ha non solo quando la norma formale non viene generalmente rispettata ma anche quando le regole imposte non riescono ad assicurare una vita umanamente decente a tutti. La massima adeguazione alla norma giuridica – che si realizza nello stato totalitario in cui il soggetto non solo deve necessariamente improntare i propri comportamenti alla legge ma deve anche dare la sua interiore adesione ad una legge che non si può discutere – documenta non un massimo di legalità ma la caduta verticale della legalità. Da un’altra parte il diritto finisce con l’essere sempre più accantonato quando la forza e prepotenza tendono a prevalere: è con profonda amarezza che in questi ultimissimi anni abbiamo visto andare in frantumi il tentativo di costruire anche i rapporti internazionali sul piano del diritto e non in base alla mera potenza. Nel paese in cui più forti erano le garanzie giuridiche si è assistito allo spazzare con assoluta tranquillità i fondamentali principi in materia di libertà personali e revocare di fatto le convenzioni di Ginevra in relazione ai prigionieri di guerra; nelle relazioni internazionali il diritto è stato sostituito dal ritorno al principio della guerra come strumento principe della regolamentazione delle relazioni internazionali aggravato dalla teorizzazione della legittimità della guerra preventiva ed infinita, senza termini, senza regole, senza condizioni, senza limiti. Si è addirittura pensato di “esportare” la democrazia. Se alla forza del diritto si sostituisce il diritto della forza inevitabilmente si aprirà la strada al caos generalizzato: guerra e terrorismo sono due facce della stessa medaglia e conseguenza del forzoso silenzio del diritto. Rientrando nel nostro microcosmo, la corruzione, questo cancro, rappresenta una minaccia estremamente preoccupante per il sistema economico-sociale di Amantea. La diffusa percezione del fenomeno mina la fiducia del cittadino nelle istituzioni e nella politica. Le vicende più recenti pongono in luce come la corruzione sia divenuta anche il mezzo attraverso il quale forme sempre più evolute di criminalità si infiltrano nell’apparato pubblico, ne condizionano le scelte e così ampliano la penetrazione nel tessuto economico e sociale anche in contesti diversi da quelli tradizionali, con gravi danni per la collettività. È una forma di mentalità criminale che ha sempre meno bisogno di ricorrere all’intimidazione e alla violenza, perché mira a integrarsi nelle istituzioni, a minarle dall’interno. Di conseguenza, se si denunciano delle malefatte ci si ritrova indagato dalle Autorità competenti e minacciato anche di morte da alcuni cittadini che vedono “le denunce” come un fatto estremamente negativo e “dannoso per l’immagine del paese”, per l’economia e per il “turismo”.

    Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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