Fare l’usignolo (Sparaballe) dell’imperatore (Amministratore) deve essere un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non si può scavalcare e dal quale non si può uscire puri a meno di essere protetti, “come Dante, dal divino alloro di Virgilio”. Così parlava a metà del XIX secolo, Honoré de Balzac nelle sue Illusioni perdute.
“Per quanto riguarda la fascia ionica e tirrenica cosentina, vi prometto un mare da bere”. Così parlava Gerardo Mario Oliverio,l’allora presidente della provincia di Cosenza, all’inizio della sua prima legislatura un po’ di anni orsono. “Il mare da bere” divenne, addirittura, lo slogan di un progetto politico. I cittadini si spellarono le mani a forza di applausi. Pescatori, albergatori, tour operator, turisti, bambini e vecchi osannarono l’iniziativa.
Intanto le fognature dei paesi a monte riversavano il loro carico dal colore inequivocabile sulla spiaggia e nel mare. I depuratori non hanno mai funzionato nonostante lo stanziamento di decine di milioni di euro. Poi cominciò la prima inchiesta da parte della magistratura. Si scoprì che il mare era amaro, schiumoso, “strano”. L’opposizione voleva la testa del presidente su un vassoio d’argento. Arrivarono anche quelli di Striscia la notizia. Andarono ad offrire un bel bicchiere d’acqua del mare che bagna la costa di Amantea, al presidente Oliverio. Lui schifato si rifiutò di bere. Poi il colore blu cupo e gli odori nauseabondi vennero dimenticati da tutti, rapidamente.
E i calabresi? Si diceva in giro che fossero incazzati e disperati. Personalmente ho sempre avuto dei forti dubbi. Che non avevano più la forza e non sapevano con chi prendersela. Nessuno mai parlò di delinquenza amministrativa né di ’ndrangheta. Ad oggi nulla è cambiato. Insomma in una Calabria dove ancora si seppelliscono persone per malasanità, dove si parla, ogni tanto e a bassa voce, di tante carrette del mare affondate con carichi letali, c’è ancora un paese che si ostina a pensare che non bisogna denunciare tutto questo perché significa non voler bene alla propria Terra. Al proprio paese. Per i terraioli amanteani, il mare è sempre stato soprattutto un elemento alieno e di disturbo. Per gli amanteani dell’arenile di qualche anno fa era il simbolo quasi parodistico della libertà e della partenza verso esotiche e mitologiche rive. Per un marinaio, quando ancora il treno non lo aveva portato via al Nord, il mare era un luogo che più concreto non avrebbe potuto essere, un luogo di lavoro dove l’errore di giudizio, la negligenza e la leggerezza avevano la loro immediata punizione”. Tornando per lunghi periodi dell’anno ad Amantea da Roma, mi sono ritrovato a guardare la città alla quale da lontano solo potevo pensare. Ora, oltre ad aver dedicato alla lettura gli anni che mi restano da vivere, io in realtà ho visto moltissimi ormai uomini fatti, aggregarsi alla diaspora di cervelli e forza lavoro che si disperde per il mondo intero. In Nord America, poi, tanti italiani, dal dottorando al pizzaiolo, decantano la “fortuna” offerta da terre diverse dalla nostra così disunita ed esausta Italia. Infine ho udito affermare, dopo aver consegnato le loro vite a gelide ed anonime megalopoli nord-europee, che “lì si che si respira!”. Bene! Non posso negare le ottime ragioni che questa gente ha avuto nel fare ciò che ha fatto. Ma siamo proprio sicuri che le loro ragioni siano per davvero oggettive, oltre che solo legittimamente soggettive?
Un possibile indizio per rispondere a ciò sta nei rifiuti viscerali che la stessa sostanza umana della città oppone a chi, come spesso io stesso faccio, esprime con indignato ed amaro sarcasmo la sua insoddisfazione per lo stato delle cose (che poi in fondo è viscerale amore!). Può accadere dal tabaccaio, o anche nella fila della Posta. Provate a farlo e vedrete che almeno una sostanziosa parte del vostro uditorio risponderà ai vostri improperi con una resistenza non poco infastidita. Ebbene, forse si tratta di quei calabresi pigri e “sfaticati” ai quali con una certa ragione si rimprovera da tanto tempo che “non vogliono cambiare”. Ma siamo proprio sicuri che ciò di cui abbiamo bisogno sia veramente cambiare?
Di certo è un fatto inoppugnabile che Amantea è una di quelle città che di “cambiare” proprio non vuole saperne. Io stesso l’ho detto spesso con rabbia. Ma ora mi coglie il dubbio che possa trattarsi di saggezza e non stoltezza. La saggezza coincidente con l’intuizione di un certo nascosto valore del “non cambiare”. Valore che impedisce di volere, ma soprattutto di potere, CAMBIARE.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik