Come spesso accade le meditazioni vengono significativamente accompagnate da eventi coincidenti. Nel mio caso si trattava della sequenza di gigantografie di “vittime innocenti della criminalità” che scorrevano davanti ai miei occhi . Mi passavano davanti con una crescente emozione e poco a poco mi invadeva la curiosa sensazione di stare passando in rassegna un esercito di morti non morti. Resi vivi eternamente dalla generosità del loro sacrificio. In fondo del tutto gratuito, considerato ciò che quel Mare, da me tanto amato, stava collaborando a fare a povere donne, bambini e giovani uomini. Ma di colpo, del tutto inatteso mi entrava nelle narici l’aroma della salsedine da tempo non più sentito (vero e proprio sipario, al cui sollevarsi fiumi di grati ricordi rompevano gli argini), mi coglieva a tradimento un pensiero inconcepibile : ‒ “Cosa non darei per essere uno di loro!”. Non è il desiderio di un eroe. Non lo sono. È qualcosa di molto più semplice, e cioè amore. Amore per l’umanità. Al cui oggetto si può dare il nome che si vuole. Un amore dettato dalle proprie origini dalla propria terra, dalle proprie radici, dalle linfe vitali, dalla Terra! Poco importa.
Ciò che importa è che proprio qui il cerchio si chiude. Amantea e il suo Mare non fanno nulla per farsi amare. Non si è costretti ad amare. Si ama e basta! E lo si fa proprio rifiutandosi di abbassare la testa di fronte a tutti questi orrori, e quindi di dare ciò che vorrebbero coloro i quali pensano che essi invece proprio dovrebbero. Il che significa che forse esse proprio non sono fatte per “essere amate”. Proprio come austere e severe Madri. Madri d’altri tempi. Dietro i cui modi bruschi però si nasconde il più appassionato amore. Che merita rispetto e gratitudine. Cioè amore. Ed allora è forse proprio questo il punto : ‒ l’amare prima ancora dell’essere amati!
L’amore che si ha per questo luogo, per questo Mare e le imbarcazioni, scriveva Joseph Conrad, “è profondamente diverso dall’amore che gli uomini sentono per qualsiasi altra opera prodotta dalle loro mani … perché non è macchiato dall’orgoglio del possesso”. Per un altro scrittore, di cui non ricordo il nome, le imbarcazioni e i luoghi si potevano trattare come esseri viventi. Quella del mare è tuttora una storia che va da Omero ai pirati contemporanei, passando per esploratori, marinai, pellegrini, viaggiatori, capitani e “migranti”, come vengono chiamati tutte le persone che attraversano il Mediterraneo alla ricerca di pace, cibo e serenità e sempre più spesso vi trovano la fine dei loro giorni. Un corpo non sopravvive se le sue cellule, gli sfuggono dileguandosi. È così che la malattia si trasforma in corruzione, in decomposizione. Morte. Senza via di scampo!
Bisogna, dunque, un po’ pensare che noi da questa Terra non riceviamo solo ciò che in realtà non dobbiamo ricevere. Il resto poi dipende solo da noi. Perché forse non si tratta di amare riamati ma soprattutto di amare per primi. E così, quando non si riceve, bisogna saper distinguere tra quanto deve essere così per immutabili circostanze oggettive, e quanto invece è così solo perché dipende da noi. Ovvero da ciò che abbiamo mancato di dare e di fare. Però intanto diamo a questo luogo e a questo paese quello di cui essi hanno bisogno per potercelo poi restituire a modo loro, cioè come possono e forse devono.. Diamo loro operosità, onestà, nobiltà e limpidità morale, coraggio civile, lealtà, generosità, spirito di abnegazione e i ricordi che emergono dalla Conchiglia della memoria e dalla leggenda piene di poesia. Cioè diamo loro il nostro amore incondizionato.
La verità è che solo dopo aver amato tenacemente e senza riserva, e dando in questo tutto noi stessi, potremo poi valutare. Certamente la stessa ombra di Murat sarebbe più contenta di cavalcare per l’eternità, ….. “in vista del più avventuroso dei mari, sulla rotta degli Ulissidi, in compagnia delle grandi ombre degli eroi, folli od astuti, storici o mitologici, che per decine di secoli qui hanno lottato, vinto o perduto, anziché sonnecchiare in qualche tranquillo angolo di cimitero” (Kazimiera Alberti), costretti a dividersi l’eternità con il fantasma del droghiere, del notaio, del commerciante o qualsiasi altro notabile di turno impegnato ad arraffare egoisticamente il più possibile, anche da morto, mentre i vermi divorano, staccandoli dalle ossa, gli ultimi lembi di carne.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik