Beaumont sur Mer Maggio 2016
Un tempo lavorare era considerato necessario per gli dei, o per Dio con l’avvento della religione monoteista. Con la nascita degli Stati-Nazione divenne indispensabile per la “Patria” e la comunità (in Italia, durante il ventennio fascista fu coniato lo slogan “lavoratore, ricorda che anche tu sei soldato, che il tuo lavoro è la tua trincea”). In realtà naturalmente le strumentalizzazioni dei concetti di “Dio,”Patria”, “Comunità” nascondevano ben altri interessi assai poco nobili. Nell’attuale società considerata “libera”, (Goethe scrisse: “nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo”) il lavoro viene considerato come indispensabile addirittura per se stessi, per la propria libertà individuale e fondamentale per la crescita personale. Ma in realtà per chi e per che cosa si lavora? A questa domanda, molti risponderebbero, “per la propria sopravvivenza, per la vita, per la famiglia, per la casa” e così via. Ciò è vero, in parte, nel sistema attuale, dentro il quale per vivere (o almeno vivere decentemente) è necessario cedere al ricatto lavorativo. In altre parole, cedere la propria libertà in cambio del “benessere”(quando possibile ma non necessario),molte volte solo artificiale. Si produce e si consuma per il Sistema dominante e per la sua esistenza, si “produce” e si “consuma” per essere parte integrante di esso, un sistema basato sull’ingiustizia e sulle (false)illusioni. Lavorare per questo sistema serve appunto per il mantenimento stesso dello status quo, milioni di persone non più persone ma automi del “progresso” e della “civiltà libera” disposti a tutto per il denaro, che in questa società è sinonimo di vita e di felicità. La cultura del benessere ci ha reso insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi alla globalizzazione dell’indifferenza. E a questo proposito trova un senso lo scritto di Gramsci del 1917 quando dice : “Odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. … È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti … Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”. Il comportamento delle persone, particolarmente nel Meridione è di totale indifferenza a ciò che succede nel sociale. Quello che più preoccupa i meridionali è la distanza della propria persona (almeno un palmo) da tutto il male, le ingiustizie, le prepotenze e gli abusi a cui vengono sottoposti gli “altri”. Chiaramente questo atteggiamento favorisce chi infligge le malefatte. I potenti e i prepotenti. Il sistema ha sempre avuto ( almeno fino a poco tempo fa) bisogno di forza-lavoro per continuare a esercitare il dominio e il controllo sulle popolazioni. Ultimamente, con l’aumentare del fenomeno del precariato e l’accentuarsi della competitività, il Sistema tenta di far innescare l’ennesima “guerra tra poveri” per accumulare ancora più potere e rendere più forte il controllo sociale e culturale. Lo Stato ha fatto propria la dottrina del plusvalore marxista e l’ha applicata in parti della giornata lavorativa. Ha reso, insieme al sistema economico, il lavoratore un autentico schiavo. E così facendo ha enormemente semplificato il quadro dei rapporti sociali. Se una persona paga il 70% di tasse questo significa che su dieci ore di lavoro sette non sono sue, sono alienate di fatto e di diritto. E sono tanto più alienate, ossia “rese altro da sé”, in quanto risultano necessarie al raggiungimento delle tre ore lavorative che gli servono per soddisfare i suoi bisogni indotti dallo stesso Sistema. Innegabilmente, lo statalismo è il più grande sistema di dominio della storia perché ha ottenuto il consenso dei dominati. Tale consenso si fonda su di un misto di credulità popolare, dottrina democratica, astrazioni filosofiche. Più che la ‘ndrangheta, in Calabria il problema sono le Amministrazioni. Parole del Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik