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  • SMENTITENE….UNO

    SMENTITENE….UNO

    smentiteneuno

    Beaumont sur Mer Agosto 2015

    Ulisse incitava i compagni di viaggio al “desiderio del mare aperto”, non indugiava sulla monotonia del particolare slegato dal desiderio di andare per mare. Antoine de Saint Exupery scriveva: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini. Ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”, come il divenire. Mentre nuoto nel mare di Odisseo/Passo attraverso le cedevoli blu acque/in contrasto con il pallido turchese del cielo/ Penso alle creature che lo popolano/Cavallucci marini, pesci luna/Gabbiani e a volte anatre/le molteplici conchiglie e sassi/gemme di saggezza/La spensierata brezza/Onde che carezzano la riva/Rasserenano, innovano la vita. Mi svegliavo al ventunesimo piano di College Plaza, vicino all’Università, con il cielo terso e la temperatura a 20 gradi sotto lo zero e per non farmi mancare nulla, pensavo all’idea che in Italia, dei “militanti professionali” avevano il compito di formare il pensiero dei lavoratori ad una politica riformista e non rivoluzionaria. Mi era chiaro anche allora, che il Comitato Centrale della Sinistra italiana aveva assunto il ruolo di protettore di animali domestici. Questo implicava una concezione infantile del pensiero e totalmente lontana dal mio modo di vedere le cose dove lo stesso pensiero era ed è un momento della prassi, mentre i “professionisti” di partito cercavano e cercano di astrarlo e trasformarlo in una ideologia dei lavoratori. Esiste, invece, un pensiero operaio autonomo allo stato latente anche se disperso. Il pensiero liberal-democratico di “via democratica al potere” mi costrinse a rileggere attentamente alcune teorie marxiste. Anche perché attualmente si crede sempre meno al paradiso o alla terra promessa e l’umanità si ritrova intrappolata nella propria esistenza. Una umanità obbligata ad accettare cose che però ritiene inaccettabili: la vita fatta di sofferenze, il lavoro non gratificante , i rapporti affettivi appena sopportabili e quant’altro. Ci si ritrova spesso divisi fra due desideri, quello di accettare, di subire e quello del non accettare, di rifiutare. La realtà esterna spinge a subire, mentre il desiderio contrario si sviluppa fino al punto di esasperazione e per un qualsiasi banale motivo , esploderà in tutta la sua violenza il rifiuto di accettare. Le istituzioni, in tal senso, rappresentano da una parte, l’espressione sociale del desiderio e dall’altra la realtà esterna e costrittiva ad accettare. Dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale e dall’insediamento della Repubblica con il voto che garantiva la “democrazia bloccata” in Italia, gli “istruttori” del partito-istituzione, riuscirono a convincere il lavoratore che veniva pagato per il suo lavoro. Qualche intellettuale di sinistra cercò di spiegare che il salario non era per il lavoro ma per la vita stessa dell’operaio. Una vita-limone da spremere o lasciar marcire. I pochi che condividevano il concetto vennero messi alla gogna e marchiati di estremismo e dannosi alla causa e alla società. Ribellarsi, ancora oggi, non è possibile. “Come finirà non lo so. Io spero che finisca in una specie di…quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una rivoluzione che non c’è mai stata in Italia. C’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania, dappertutto, meno che in Italia. Quindi ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto. Sono 300 anni che è schiavo di tutti e, quindi, se vuole riscattarsi…il riscatto non è una cosa semplice: è doloroso, esige anche dei sacrifici, sennò vadano in malora, come già stanno andando da tre generazioni”. Queste parole appartengono al regista Mario Monicelli prima che nel silenzio della notte decise di porre fine alla sua vita. Lo stesso grande regista romano si sarebbe fatto impiccare piuttosto che parlare di “ispirazione”, di “anima”, di “creatività”. Non avrebbe mai detto “noi artisti” neppure sotto tortura, né avrebbe mai fatto un capriccio per ottenere il dovuto da un produzione, ma lo avrebbe fatto per ottenere l’inutile, e tutto a suo danno. Detestava la parola “speranza”: “La speranza…è una trappola, una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è quella di quelli che ti dicono che Dio…state buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. Intanto, perciò, adesso, state buoni: ci sarà un aldilà. Così dice questo: state buoni, tornate a casa. Sì siete dei precari, ma tanto fra 2 o 3 mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo il posto. State buoni, andate a casa e…stanno tutti buoni. Mai avere speranza ! la speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda”.

    Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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