Antonietta De Pace nacque a Gallipoli il 2 febbraio 1818, figlia del ricco banchiere napoletano Gregorio De Pace e di Luisa Rocci Cerasoli, nobildonna d’origine spagnola, appartenente a una famiglia di tendenze antiborboniche: due suoi fratelli avevano preso parte alla Repubblica Napoletana del 1799. Antonietta era la quarta delle figlie. Prima di lei avevano visto la luce Chiara, Carlotta e Rosa. Da piccola fu avviata dal padre allo studio dell’economia e della finanza, dato che Gregorio, uomo di larghe vedute e alieno dai pregiudizi della società in cui viveva (secondo cui le donne dovevano dedicarsi solo alla cura dei figli e non avevano diritto all’istruzione), voleva che qualcuno portasse avanti un giorno l’impresa familiare. Quando aveva otto anni fu però colpita da un grave lutto: Gregorio venne assassinato in circostanze misteriose, probabilmente avvelenato dal fidato servitore, e Antonietta fu messa assieme alle sorelle nel convento delle clarisse di Gallipoli. Chiara sposò poi lo zio Stanislao, Carlotta fu uccisa dalla tisi e Antonietta venne accolta nella casa del liberale mazziniano Valentino Epaminonda , figlio di Cristina Chiarizia anch’essa ricordata da Benedetto Croce come Madre della Patria. Ricordiamo che Epaminonda era convolato a nozze con Rosa De Pace. La nutrita biblioteca di casa Valentino consentì alla fanciulla di completare la propria formazione mentre la fervente attività del cognato, figura centrale della cospirazione clandestina nel leccese, si rivelò uno stimolo decisivo per orientarla definitivamente verso la lotta risorgimentale. Antonietta divenne membro attivo della mazziniana “Giovine Italia”. Mino, di cui Antonietta fu una valida collaboratrice, era un commerciante e utilizzava questo suo lavoro come copertura per tenere i contatti con le varie organizzazioni carbonare sparse nel Regno delle Due Sicilie. A gennaio del 1848 Ferdinando II di Borbone concesse la Costituzione, molti credettero che il re si fosse convertito al costituzionalismo. Non era di questo parere Antonietta, convinta che nessun sovrano e nemmeno nessun papa potevano essere portatori di istanze repubblicane; perché avrebbero dovuto lavorare contro di sé?, si chiedeva la De Pace, che non era facile agli entusiasmi e aveva ben compreso i meccanismi della politica. I fatti non tardarono a darle ragione; quattro mesi più tardi, il 15 maggio del 1848, Napoli conobbe una giornata di sangue, centinaia furono i morti. Antonietta si dedicò a tessere una tela di relazioni, connotata da una forte presenza femminile. Divenne una sorta di coordinatrice tra i rivoluzionari che erano ancora in libertà, quelli che ancora giacevano nelle carceri e quelli che invece si trovavano in esilio. Le donne furono l’anima di quella resurrezione giacobina che poi diede vita al movimento che appoggiò l’arrivo di Garibaldi e ne favorì l’entrata in Napoli. La De Pace mise insieme patriote della statura di Antonietta Poerio, l’irlandese Emily Higgins, Raffaella Faucitano, Aline Perret, Costanza Leipnecher, Nicoletta Leanza. Grazie alla Poerio, ella divenne pedina decisiva sullo scacchiere che vedeva giocare Napoli, Torino e Roma. Si trasferì presso il centro di accoglienza per donne della buona società napoletana, nella basilica di San Paolo. Per sostenere l’affitto, si fece accogliere come corista. Così di giorno dava la sua voce alla fede, di notte dava voce agli ideali, portandoli nei segreti luoghi della Carboneria. Intrattenne rapporti politici col console inglese Henry John Temple, tenne relazioni con l’ambasciata sarda, dove si procurava i giornali che si pubblicavano nello Stato sabaudo, come “L’Opinione di Torino” e il “Corriere Mercantile” di Genova. Nel 1854 andò a vivere da sola in un piccolo appartamento dove fu poi arrestata, il 26 agosto 1855, dalla polizia del Regno. Fu accusata di cospirazione e tradotta nella prigione femminile di Santa Maria ad Agnone. Quarantasei le udienze del suo processo; l’attenzione dei media fu alta, tanto che anche la stampa straniera, in particolare il “Times” e il “Débats” lo seguirono. Rea politica poiché accusata di cospirazione repubblicana, fu tenuta in isolamento. A difenderla ci fu uno stuolo di avvocati partenopei di chiara fama repubblicana, tra questi Francesco Castriota Skanderbeg ed Enrico Pessina. Uscì dal carcere, con la condizionale. I suoi compagni di sventura furono mandati al confino perché giudicati colpevoli anche se non di cospirazione. Di questo processo si parlò a lungo soprattutto perché faceva notizia il fatto che a subirlo fosse stata una donna e borghese. Nel 1858 l’incontro con quello che sarebbe diventato il suo compagno di vita: Beniamino Marciano, un liberale di Striano, che per un certo tempo aveva vestito l’abito talare, conosciuto quando questi si era trasferito a Napoli, andando ad abitare nel suo stesso palazzo. Si sposarono molti anni più tardi, nel 1876. Durante la battaglia per Roma italiana, fu arrestata dalla polizia pontificia, sul treno che la stava conducendo a Firenze. Portava in Parlamento una proposta di sommossa contro lo Stato pontificio con uomini guidati da Giovanni Nicotera, disposti ad entrare nell’agro romano attraverso il varco di Ceprano. Anche questa volta la sua straordinaria capacità di distruggere sapientemente le prove le consentì di aver salva la vita. Quando a Napoli fu eletto sindaco il progressista Paolo Emilio Imbriani, le affidò l’incarico di ispettrice scolastica mentre il marito fu nominato assessore alla Pubblica Istruzione. L’impegno politico divenne in seguito sempre meno intenso: sfiducia e disillusione l’assalirono davanti agli opportunismi della politica di Palazzo. Morì il 4 aprile 1893 a 76 anni.