A distanza di anni ho voluto rispolverare alcuni termini che durante la mia crescita socio-culturale andavano molto di “moda”. Uno di questi termini era “sfruttamento”, non delle risorse minerarie ma sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Questo scritto vuole essere da stimolo a pensare e ad agire; vuole essere qualcosa di più di un semplice invito a persone consapevoli perché riflettano e, ognuno nella sfera della propria competenza e della propria azione, collaborino alla soluzione del problema, facendo convergere su di esso l’attenzione degli altri e delle associazioni. Solo da un lavoro comune e solidale di rischiaramento, di persuasione e di educazione reciproca potrà prender vita ed evolversi l’azione concreta di costruzione del futuro. Questo problema è rappresentato, oggi più che ieri, dallo “sfruttamento” dell’uomo sull’uomo. Innanzitutto serve collocare il termine “sfruttamento” nella storia dell’uomo e delle culture politiche nei secoli. E’ fuor di dubbio che esistano opere sull’argomento. Ma qui di seguito richiameremo atti ben noti, che oggi sembrano dimenticati. Inutile dire che il concetto di sfruttamento non lo ha inventato Karl Marx. Neanche il termine e tampoco l’idea. L’arricchimento del singolo a spese delle moltitudini è vecchio come il mondo. Strano ma vero, sembrerebbe che vi siano sempre stati forti e deboli, ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati. Non saprei dire quando la parola “sfruttamento” fa il suo ingresso nella letteratura economica e non solo. Vi sono sempre precursori nell’uso delle parole. Ma se Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi un globetrotter intellettuale svizzero parla di “spoliazione”, nel senso in cui poi si dirà abitualmente “sfruttamento”, quest’ultimo termine sembra proprio che sia stato messo in circolazione da i suoi estimatori. Anche Pierre-Joseph Proudhon, filosofo, sociologo, economista e anarchico francese è stato il primo ad attribuire un significato positivo alla parola “anarchia”. Proudhon usa il termine, “sfruttamento” riferendosi (probabilmente) a Saint-Simon. Stigmatizzando il furto commesso dal “capitalista” nei confronti del “produttore” (il lavoratore), scrive: “In questo soprattutto consiste ciò che è stato opportunamente chiamato lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Era inevitabile, dunque che si arrivasse ad un conflitto di classe volto al superamento di questa condizione umana inaccettabile. Un esame anche rapido, delle ragioni e delle condizioni di questo conflitto non può non essere utile all’educazione delle masse sfruttate che dovranno creare le condizioni in cui l’impresa privata sparirà e senza più rinascere. Dovranno anche convincersi della necessità di creare le condizioni psicologiche e obiettive nelle quali sia impossibile ogni conflitto e ogni dualismo di potere tra i vari organismi in cui si incarni la lotta della classe sfruttata contro il capitalismo. Anche se l’idea di sfruttamento è al centro della dottrina di Karl Marx, la parola non vi trova un uso molto frequente. Citiamo almeno due passaggi: “il modo di produzione capitalistico si presenta dunque come necessità storica per trasformare il lavoro isolato in lavoro sociale; d’altra parte, in mano al capitale, la socializzazione del lavoro aumenta le forze produttive di questo soltanto per sfruttarlo con maggior profitto”. La divisione del lavoro si presenta “da una parte come progresso storico e momento necessario nella formazione economica della società, dall’altra come un mezzo di sfruttamento incivilito e raffinato”. Per quanto riguarda le teorie, su come sovvertire questo sistema, esse variano all’infinito, anche se, per il profano, sembrano tutte uguali. Nel linguaggio corrente con “sfruttamento” si intende una ingiustizia duratura, di ordine economico e sociale, commessa dai più forti ai danni dei più deboli, in occasione di una prestazione di lavoro. Quando si dice di chi presta servizi ad altri che è sfruttato, si vuol dire che, in cambio dei servizi forniti, non riceve una “ricompensa” proporzionata – si tratti di denaro, di considerazione, di condizioni di esistenza, ecc. Nella nozione di sfruttamento sono dunque racchiuse due idee: l’idea d’ingiustizia e l’idea di durata dello sfruttamento. Se non si rende il dovuto a ciascuno, in una determinata occasione, lo si deruba o lo si lede. Ma se non gli si dà il dovuto in una prestazione di lunga durata (che per l’interessato costituisce uno stato) lo si sfrutta. A questo proposito, il linguaggio corrente corrisponde a una intuizione assolutamente esatta delle nozioni di giustizia e di ingiustizia. Pensate, per esempio, ad un contadino, povero, che, per un qualsiasi lavoro, si rivolga a uno più povero di lui e gli dia una somma molto inferiore a tutti i minimi salariali. Lo sfrutta personalmente? No, perché non gli può dare niente di più e si priverebbe delle sue prestazioni se dovesse farlo. Quindi non vi è sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Qualcuno ha sempre cercato di far passare come un istinto dell’uomo di sopraffare il proprio simile. Per concludere: o quella di sfruttamento è una nozione puramente astratta e nient’altro che una diversa denominazione per indicare la condizione di “salariato in regime capitalista”; oppure lo sfruttamento evoca un’idea di ingiustizia, di durata, di alienazione che si legherebbero concretamente alla condizione di salariato – sfruttato ; e che effettivamente non lo sarà in una società nella quale questo sistema non verrebbe riproposto. La nozione astratta è evidentemente assurda. Ha senso solo se riferita alla realtà concreta. Di conseguenza, si finirà per riconoscere che dal problema dello sfruttamento si passa a quello della giustizia. Si tratterà scoprire se, nell’insieme, un sistema politico, in cui verrà abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, sarà più giusto di un regime in cui essa esiste.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik