Beaumont sur Mer 15 dic 2016
Le Amministrazioni Comunali, in quanto non proprietari bensì custodi dei beni comuni, dovrebbero esercitare nei confronti di tali beni un diritto di cura fondato non sul singolo interesse, come nel caso del diritto di proprietà, bensì sull’interesse generale. Agli amministratori viene chiesto di essere “disinteressati” in quanto dovrebbero andare oltre il diritto di proprietà per prendersi cura di beni che sono di tutti. In entrambi i casi, si tratterebbe di un’evoluzione quanto mai positiva della specie umana, che dimostrerebbe in tal modo di saper uscire dalla ristretta cerchia familiare e dall’individualismo proprietario per aprirsi al mondo. Questo porta all’interesse pubblico che è “generale”, cioè di tutti, solo in questo senso: perché tutti, attraverso i meccanismi della rappresentanza politica e attraverso l’esercizio dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti, devono avere la possibilità di partecipare alla scelta. D’altra parte, in un ordinamento democratico ed in una società complessa in cui gli interessi da proteggere sono tanti e fra loro in vario modo confliggenti (ad esempio, l’ambiente e lo sviluppo), questo è l’unico modo per concepire correttamente (dal punto di vista giuridico) l’interesse pubblico. Nell’Ordinamento italiano vige il principio per cui l’interesse “pubblico” (come qui definito), quando è individuato dalle istituzioni legittimate con l’osservanza della Costituzione e del diritto, prevale su qualsiasi altro interesse, “generale” o “non generale” che sia : ad esempio, il Comune che in sede di pianificazione urbanistica decide, nel rispetto delle leggi, in un certo momento e in una certa situazione, di consentire l’edificazione di una vasta area, individua come interesse pubblico (perciò prevalente) l’interesse (di per sé “generale”) allo sviluppo economico sull’interesse (anche questo di per sé “generale”) alla maggiore tutela dell’ambiente. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Dopo tale premessa, veniamo alle miserie locali e alla vecchia SS18 ormai parte della rete viaria di Amantea. In località “Catocastro”, a unire le due sponde del fiume che porta lo stesso nome, vi è un ponte in acciaio costruito agli inizi del 1900 che da anni desta preoccupazione nella popolazione che deve attraversarlo. Inoltre, nel 2013 l’Amministrazione comunale riteneva il ponte “di importanza strategica ai fini della protezione civile in quanto rappresenta una via di fuga dal centro Storico”. Questo faceva spendere alla stessa Amministrazione € 9.997,90 per uno “Studio di vulnerabilità statico/sismica” dello stesso ponte, presentato dall’ing. Clemente Caruso. Non è dato sapere i risultati di tale “indagine”. Gli unici segni della “campagna di indagini e prove sia in situ che in laboratorio” sono dei solchi profondi che attraversano il sopracitato ponte, e che sono andati a far compagnia ad una cinquantina di buche già presenti per tutto il tragitto e che nel tempo hanno danneggiato decine di macchine. In aggiunta, all’uscita nord del ponte esiste una biforcazione che conduce alla chiesetta di San Giuseppe. Sulla destra di questa strada vi sono delle abitazioni servite da una stradina (via Indipendenza, che però non permette alle auto di raggiungere la seconda delle abitazioni come risulta da una “diffida” formale , presentata, a Giugno del 2016, nella persona del Sindaco da parte del signor Giuseppe Veltri, al fine di far rispettare quanto è nell’interesse di tutti ….di esercitare il sacrosanto diritto all’accesso “ alla propria abitazione”. Chiaramente ad oggi il ponte è sempre nelle pessime condizioni di sempre e la richiesta-diffida del sig. Veltri rimane e rimarrà lettera morta. Quello che servirebbe a questa Cittadina derisa e umiliata, sarebbe un profondo cambiamento di ‘senso’, non più di segno: intendendo con questo il recupero della più originale, più forte e più grande tradizione che ci appartiene, che appartiene a tutti quei paesi che si affacciano sul grande lago Mediterraneo. Purtroppo, si sta facendo sempre più strada un sentimento di scoramento anche nei più entusiasti delle finalità dello Stato. Vedo negli Amanteani una rinuncia, forse dovuta ad una stanchezza della mente, dello sguardo e del cuore. Una sempre più accentuata sfiducia nella ragione e nella capacità di creare una nuova realtà degna della storia di questo paese.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik