The Prairies nov 4 2016
Da una analisi dei siti politici realizzati finora, emerge la persistenza di un modello di comunicazione verticale ed unidirezionale, che nei siti istituzionali si affianca ad una limitata utilizzazione delle potenzialità della rete per fornire servizi effettivi ai cittadini. Se è vero che le tecnologie sono un agente di trasformazione radicale degli assetti sociali, allora, dobbiamo aspettarci grandi trasformazioni nella forma stessa della democrazia attuale. Ma quale tipo di democrazia sarà questa democrazia virtuale futura? Quello che si intravvede è una democrazia virtuale che sta per rivelarsi in tutta la sua pericolosa illusione e che nasconde un nuovo e tecnologico totalitarismo? Il momento attuale ci pone di fronte a un paradosso. I primi quindici anni di questo secolo sono stati un periodo di progressi sorprendenti nel settore delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione, tra cui la digitalizzazione, piattaforme video accessibili, smartphone, l’accesso a Internet per milioni di persone e molto altro. Questi cambiamenti dovrebbero essere indice di un processo di crescita, sia dell’individuo sia delle collettività, e sull’incremento della stima di sé, e dell’autodeterminazione, e dovrebbero far emergere risorse latenti che avrebbero potuto portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. Eppure, nonostante questi cambiamenti, nel mondo occidentale, la democrazia – un sistema politico basato sul concetto di empowerment degli individui – è in questi anni diventata paludosa. Il numero di nazioni “democratiche” oggi non è maggiore di quello che era all’inizio del secolo. Quando la polarizzazione avviene senza un consenso generalizzato sulle regole del gioco democratico, lo stesso sistema rischia l’implosione. Inoltre, gli autocrati hanno, in modo significativo incrementato il monitoraggio, vincolando, e persino bloccando le cosiddette tecnologie che dovevano essere di “liberazione”. Il capitale, è indotto da un istinto potente alla concentrazione e alla sua legittimazione. Non è affatto vero che la tecnologia digitale abbia disarticolato le gerarchia di potere e la sua concentrazione. I media restano fortemente oligopolistici, intrecciati con le élite che detengono l’autorità politica e il loro ruolo di intermediazione è ancora potentissimo. Insomma, quello della socializzazione democratica del potere comunicativo attraverso la tecnologia è nulla più di un mito accuratamente coltivato da chi attraverso una selezione dell’agenda pubblica – dove il silenzio su ciò che non si dice conta più di quello che si dice – riproduce un’egemonia ferrea sulle masse. Al facile ottimismo che in varie forme si è manifestato nelle affermazioni dei teorici della democrazia elettronica, si oppone una fitta schiera di critici le cui argomentazioni non sono prive di rilievo. Infatti la democrazia telematica, facendo a meno degli istituti della mediazione e della rappresentanza politica, potrebbe dare luogo ad un rapporto diretto tra governante e governato. La partecipazione popolare si ridurrebbe così ad una sorta di sondaggio elettronico. In parte lo è già oggi. Se poi si pensa alla grande influenza che mezzi di comunicazione hanno nella determinazione della opinione pubblica, ci rendiamo conto che la destabilizzazione dell’equilibrio tra forme e istituzioni della politica può far emergere la parte dormiente della stessa democrazia, indirizzandola verso forme pericolose di “tecno-populismo”. Dalla democrazia diretta si passerebbe alla democrazia plebiscitaria, che è l’anticamera della tirannide. A volte, si possono avere idee così sbagliate che solo una persona molto intelligente può ritenerle valide.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik