La nostra mente sembrerebbe avere in sé una forza innata, inconscia, incommensurabile. È la forza che ci permette di raggiungere i nostri traguardi, ‘volendolo’. In maniera semplicistica, se ci occorresse lo stimolo per trovare la via del nostro benessere complessivo non dovremmo fare altro che appellarci al potere mentale che è insito in tutte le persone. Con questa premessa, sarebbe possibile ottenere dei risultati affidandosi alla forza delle idee. Lo si fa riportando l’esperienza di uomini che si sono affidati alle risorse della mente creatrice e hanno preso una decisione, senza preoccuparsi degli ostacoli, abbandonando le incertezze, e puntando con tutte le forze verso il proprio ideale di autorealizzazione. Racconto dopo racconto, citazione dopo citazione, consiglio dopo consiglio, si scopre che il luogo in cui trovare le indicazioni giuste è molto più vicino di quanto pensiamo: è la nostra mente. Basta saperla ascoltare e farsi trasportare dal suo potere, fino in fondo. Se prestiamo attenzione ai discorsi che avvengono tra due persone prive di titoli accademici ma ricche di esperienza e di saggezza, restiamo incantati nel notare quanta assennatezza alberga nei discorsi di quelle persone, magari grezze nel comportamento ma di sottile discernimento. Anche lì radica il pensiero filosofico, anzi, spesso proprio lì, tra quelle persone che, a contatto con il mistero della natura, scoprono nel silenzio, scandito dai suoni della quotidianità rustica, la possibilità d’intravedere le grandi risposte. Generalizzare non si può e non si dovrebbe, ma in questo caso è proprio così. L’essere umano non è solo una macchina da condizionare-aggiustare o un ‘esser-ci’ schiavo delle sue pulsioni, bensì un soggetto attivo, autonomo e responsabile, fondamentalmente libero di creare i propri sensi, significati, scopi e valori nella vita e che dispone in sé, almeno a livello potenziale, la forza necessaria a superare le difficoltà psicologiche-esistenziali-sociali che la sua esistenza nel mondo gli riserva. Questa concezione di un soggetto attivo, libero, autonomo, responsabile, e corredato delle potenzialità auto direttive necessarie per risolvere i propri problemi, dopo averne maturato piena consapevolezza, costituisce dunque l’antropologia che sta alla base di quelle caratteristiche di autonomia, responsabilità e libertà della persona che ha come scopo quello di porre se stesso nelle condizioni dapprima, di esaminare la situazione problematica in tutta la sua complessità e quindi di uscirne in maniera autonoma, libera e responsabile.
Durante il suo percorso di vita, l’essere umano, insieme a tante altre cose complesse e meno complesse, sembra sviluppare anche un aspetto alquanto curioso di autodifesa chiamata “incomunicabilità” che si crea fra un soggetto e gli altri. Chiude, strozza, fagocita la persona nelle maglie del ‘ma cosa vuoi che sia….sapessi quali problemi ho io’ oppure ‘tutto deve funzionare perfettamente’ soprattutto agli occhi del mondo esterno. “Sai caro, mi tengo dentro tutto ma sto malissimo, non posso esprimere i miei disagi perché nessuno mi capisce”. L’incompreso riceve messaggi di chiusura relazionale, di misteriosità che conduce in meandri concettuali in cui non può far altro che pensare ‘ma come fai a non capire?’ ‘Non mescolare le carte’. Il fatto di non poter parlare liberamente li mantiene in una voragine di pena che è peggiore della situazione emotiva di coloro che tentano di parlare ma ricevono soltanto critiche, interpretazioni e denigrazioni svilenti. Sentirsi incompresi si colloca fra due necessità: la nascita come causa e obliare come effetto. Tra queste due necessità esistono molteplici possibilità che la persona che soffre ha la facoltà di scoprire in sé e fare sue. La causa, ovvero ciò che alimenta il problema, è l’atteggiamento che il mondo esterno assume (proprio non comprendendo) nei confronti delle persone che soffrono (la loro vita di relazione che condiziona con atteggiamenti di critica). La conseguenza è quasi sempre la melanconia (depressione). Come è possibile che due persone che non si sentono comprese reciprocamente possano uscire da questo tunnel? Ogni tema che implichi il passaggio di informazioni tra due o più persone, soprattutto quando esiste la necessità di capire, passa attraverso il filosofare. Questo è indubbio. Quando però la visione del mondo di ambedue non viene considerata degna di ascolto né dall’uno né dall’altro, il senso di incomprensione prende il sopravvento e chiude la comunicazione e, con essa, la possibilità di sentirsi ascoltati. Si crea un vero e proprio divario, uno scarto penoso tra le due persone che non riescono più ad interagire nel rispetto del problema ma… nemmeno nel rispetto reciproco. “L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato (sia di quello remoto e che da quello prossimo) . Forse non è però meno vano tentar di comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente”. In un quadro di Paul Klee c’è un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta lo sospinge irresistibilmente nel futuro e verso l’oblio.
Gigino A. Pellegrini & G el Tarik